mercoledì 29 novembre 2017

Storia di Aidoborn: Capitolo 1/ Prima Parte







Tre mesi dopo…

La città era formata da un addensamento di basse abitazioni dalla forma cilindrica, con muri bianchi e comignoli malandati; le vie erano strettissime e si intrecciavano tra loro in un vero e proprio labirinto. Per orientarsi bene bisognava essere cresciuti lì, tra quei quartieri, solo apparentemente poveri, poiché su Uskàn regnava un élite di ricchi commercianti. Infatti, su una collinetta in fondo, erano situate le ville delle più ricche famiglie del pianeta, che si facevano tra loro una tacita guerra negli affari più importanti. Uskàn era un importante polo commerciale, da cui si esportavano merci e che importava a sua volta; per questo la città stessa brulicava di diverse razze aliene e la maggior parte degli abitanti non erano originari di quel pianeta; quelli con la pelle rossa e la coda erano rimasti in pochi e vivevano ormai da emarginati.


Alla luce azzurrina del giorno, le vie della città erano affollate per il mercato. Aidoborn, pensieroso, con la paura che qualcosa potesse andare storto, fece un salto fuori dalla botola in cui si era nascosto. La luce della luna del giorno irradiò sul suo corpo, i piedi scalzi furono ricoperti dalla sabbia calda, ma lui non provava alcun dolore, ci aveva fatto l’abitudine negli anni. Camminò con fare guardingo in mezzo ai passanti, lanciando rapide occhiate a destra e sinistra. Doveva prendere tempo, per aspettare i suoi amici di ritorno dalla missione. Li aveva addestrati personalmente ad essere furtivi per procurarsi il cibo da soli, senza essere scoperti dalle guardie che, di tanto in tanto, passeggiavano nel bel mezzo della folla, spezzando il ritmo dell’incessante fiumana di persone.Si sforzava di sorridere, di essere gentile con i passanti, ma la sua espressione tradiva la tensione per quel ritardo, che lui non riusciva a spiegarsi. Aveva appena superato un gruppo di tre guardie, quando, stupito, scorse da lontano tre sagome conosciute e subito andò loro incontro.Con la coda dell’occhio lo vide avanzare in direzione dei suoi amici. Tuta mimetica grigia con puntini rossi luccicanti e casco con visiera sollevata. Una guardia. Aumentò il passo, prima che l’altro potesse incrociarli sul suo cammino. Percorse una stradina parallela a quella principale. Con la schiena schiacciata contro la parete, si sporse ed individuò uno spiraglio, tra i mantelli esposti dalla bancarella antistante, da cui poter avere una visuale migliore. Aspettò che l’altro passasse lì davanti e, senza alcuna esitazione, con precisione disarmante, fu lesto a scagliare il dardo. La punta si conficcò nella pelle, alla base del collo. La guardia, senza emettere nemmeno un gemito di dolore, si accasciò tra la folla. Il tonfo pesante allarmò tutti i passanti e le altre guardie, che subito accorsero in direzione del corpo che giaceva a terra. Ma non era morto ed Aidoborn lo sapeva; non aveva bisogno di ucciderlo; doveva solo creare un diversivo per poter permettere ai suoi amici di andarsene indisturbati. Appena lo videro ebbero un sussulto.
Il suo volto si fece ancora più rosso per la rabbia e la coda rigida sferzava come una frusta impazzita, pronta a colpire.

«Ci avete messo troppo!»

«Ci sono guardie dappertutto, non è stato molto semplice sgraffignare qualcosa» rispose uno di loro, aprendo il mantello e mostrando dei tubetti di pane rosso speziato.

«Ce lo faremo bastare per un po’ di giorni. Non mi piace l’aria che tira in questa città. Ritornate al rifugio, ho una cosa da sbrigare» disse Aidoborn.

I tre annuirono e lesti si sparpagliarono in tre diverse stradine ai lati.


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